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Il sogno di Tagete
Cortona, Fortezza del Girifalco 29 maggio - 30 giugno 2021

Il sogno di Tagete

Terra e memoria in Val di Chiana

Ho sognato il dio Tages, nel momento in cui l’etrusco Tarchun, che stava arando un campo, vide saltare fuori da un solco un bambino con la sapienza di un anziano. Il suo nome era Tages.

Accorsero al prodigio i lucumoni e i massimi sacerdoti ad ascoltare il bimbo che sentenziava. Finita la sua recita, Tages scomparve come un dio. La leggenda tramanda che fosse figlio della Madre Terra e nipote del dio celeste Tinia.

Tages, secondo l’Etrusca Disciplina, aveva la capacità di prevedere il futuro e, nel mio sogno esprime la sua profezia ai sacerdoti accorsi dalle città vicine, come Cortona e Chiusi, e dalle campagne della Valle. Il suo mito fu ripreso dai romani che lo chiamarono Tagete.

Il suo racconto parla di enormi mostri fatti di un metallo sconosciuto, dalla forma di lunghi vermi, che attraversano la valle, da sud a nord e da nord a sud, alla velocità del fulmine, vermi che quasi si sfiorano incrociandosi senza mai toccarsi. Altissime torri sorreggono miglia e miglia di funi sospese, carri senza cavalli che viaggiano su una striscia di terra grigia e dura.

La premonizione di Tages continua con voce angosciata: “Il fiume che abbiamo cercato di bonificare con tanta fatica non si riconosce più, le rogge fresche e ombreggiate sono sparite, l’acqua anziché scorrere verso sud in direzione di Volsinii, viaggia verso nord all’interno di un solco tracciato da un gigantesco aratro. I piccoli campi coltivati sono spariti assieme agli alberi, agli arbusti e alle viti, al loro posto immense distese arate sono percorse da colossali tartarughe che tirano l’aratro al posto dei buoi”

“Forse si tratta di un popolo di dei degli inferi che sono saliti sulla terra, hanno provocato una guerra, sterminato il nostro popolo e reso in schiavitù i pochi sopravvissuti, le case dei nostri discendenti sono abbandonate e distrutte, le loro cose stanno marcendo nella terra”

Quella di Tages è una visione terrificante e distorta di un futuro che corrisponde al nostro presente, ma, se proviamo ad immaginare come apparirebbe la Val di Chiana ad una divinità minore di tremila anni fa, il suo racconto non sarebbe lontano a quanto ho immaginato.

Percorro la Valle fotografando quello che vedo e che colpisce il mio occhio da quasi cinquanta anni. Nel 1976, con un gruppo di giovani fotografi e antropologi, abbiamo fatto una ricerca che ha generato una mostra dal titolo “Una Val di Chiana” che è stata esposta per un solo giorno a Montepulciano in occasione della fiera del primo di Maggio. La ricerca etnomusicologica, effettuata contemporaneamente alle foto, ha dato vita allo spettacolo “Villan d’un contadino” andato in scena in Piazza Grande nell’agosto 1977 in occasione del secondo Cantiere Internazionale d’Arte.

“Una Val di Chiana” è un corpus di fotografie che, riviste oggi, mostrano gli ultimi istanti del mondo mezzadrile, le case della Fila ancora abitate, il lavoro manuale nei campi con le zappe, i pagliai come si facevano una volta e le aie con i polli a beccare in libertà. Si tratta di un lavoro che meriterebbe di essere nuovamente riportato al pubblico.

Da quel periodo in poi non ho smesso di frequentare, con la macchina al collo, la Val di Chiana, le mie escursioni si sono sempre alternate con quelle in Val d’Orcia per via della duplice attrazione per questi due mondi vicini ma molto diversi tra loro. Territori divisi da vicende storiche e caratteristiche naturali come la fertilità e la ricchezza d’acqua ad est e rispetto all’aridità e alla miseria della valle ad ovest.

La povertà della Val d’Orcia ha permesso una sua migliore conservazione da un punto di vista ambientale e paesaggistico, ma non dimentichiamo che fino a cento anni fa si trattava di una terra inospitale e in stato d’abbandono. La principale via di comunicazione da nord a sud anticamente era la via Francigena o Romea che passava lungo l’Orcia, successivamente questa direttrice si è spostata in Val di Chiana favorendo i commerci e le attività produttive. La grande bonifica, iniziata nel XVIII secolo dai Lorena, ha trasformato una zona impaludata sin dal medioevo in un giardino lussureggiante. Oggi questo stesso paesaggio è stato stravolto i piccoli appezzamenti di terra, divisi da viti maritate ai “testucchi”, sono stati sostituiti da enormi distese per consentire la pratica dell’agricoltura intensiva.

La costruzione delle prime ferrovie, di cui la principale direttiva tra Roma e Firenze passava sotto Cortona, non ha alterato il paesaggio in maniera devastante, in particolare la linea tra Chiusi e Siena fu finanziata alla fine del 1800 dai fratelli Bastogi proprio al servizio delle grandi fattorie.

Al contrario, l’apertura dell’Autostrada del Sole, che ha coinciso, forse non a caso, con gli anni della fine della mezzadria, ha aperto una ferita che sanguina ancora oggi. Un’arteria che nei primi anni era destinata a pochi, un pranzo all’Autogrill, servito ai tavoli da camerieri con giacche bianche, era un autentico lusso. Oggi è un luogo di transito affollato e i punti di sosta e di ristoro hanno subito un progressivo degrado.

La costruzione dell’alta velocità ferroviaria ha modificato in maniera irreversibile la valle, il treno stesso è diventato un elemento del paesaggio. Mi è capitato di viaggiare senza soste tra Milano e Roma, il passaggio in Val di Chiana dura pochissimi minuti e nessuno volge lo sguardo fuori dal finestrino da cui si vedono le costruzioni cadenti. Ho provato ha fotografare dal treno queste case, in particolare il bellissimo podere Rialto che si trova a pochi metri dal terrapieno della ferrovia.

Recentemente sono stati installati nella valle numerosi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, iniziative sicuramente importanti per una migliore sostenibilità ambientale ma che hanno, anch’essi, un contrappasso negativo nell’impatto paesaggistico, come i campi di pannelli solari, e anche nella perdita di biodiversità a causa delle monocolture destinate ad alimentare le centrali a biomasse.

Le foto di questa ricerca, che vogliono testimoniare lo stato della valle all’inizio del XXI secolo, sono state scattate da dal 2008 al 2020, e sono ordinate per argomenti: le contaminazioni create dalle infrastrutture, lo stato del Canale Maestro, le geometrie delle strade, le distese arate dai lavori agricoli.

Una parte consistente delle immagini riguardano le condizioni di abbandono del patrimonio edilizio e materiale dopo la precipitosa fuga dovuta alla fine della mezzadria, per questo il povero Tages si è immaginato che questa distruzione fosse causata da una guerra scatenata dagli dei degli inferi, estremamente potenti, contro i miti agricoltori discendenti dagli etruschi.

Ho percepito gli interni delle leopoldine collassate, i dettagli delle mura, i pochi oggetti rimasti, come una installazione di Land Art, per cui, a mio avviso, assumono un valore estetico particolare che si somma a quello di denuncia di un degrado da sanare. Mi vorrei però distinguere dal genere urbex, oggi molto praticato, perché non voglio raccontare un mondo di fantasmi, ma testimoniare quello che resta di una cultura ancora viva anche se molto latente. Una cultura basata sulla solidarietà e su una sapienza che ha modellato il paesaggio che rende famosa la Toscana nel mondo.

Il mio lavoro non pretende di giudicare ciò che è giusto ed è sbagliato, ciò che è sostenibile e ciò che non lo è (forse è proprio il nostro genere homo sapiens a non essere sostenibile), non racchiude nostalgie per il passato, che apparirebbe comunque distorto, o messaggi per un futuro migliore. La mia intenzione è quella di lasciare una testimonianza dello stato delle cose che ciascuno è libero di interpretare personalmente secondo la propria sensibilità. Un altro scopo è quello di conservare il valore della memoria della storia recente che, purtroppo, è assolutamente ignorata dalle generazioni più giovani.

Alcune tracce di questa memoria mi hanno emozionato in maniera particolare come il foro provocato da uno dei colpi di arma da fuoco, che nel luglio 1921, furono sparati da una spedizione punitiva dei fascisti contro una famiglia di mezzadri socialisti che abitavano nel podere San Ferdinando all’interno della fattoria di Abbadia. Nell’agguato morirono i due giovani cugini Bruno e Ottorino Castellani. La Val di Chiana è ricca di storie e di emozioni come queste e uno dei motivi del mio fotografare è la necessità di comunicarle.

Mi auguro che questo lavoro contribuisca a far conoscere la bellezza e l’importanza di questi luoghi nella speranza di una loro rinascita autenticamente sostenibile che sarà possibile solo coltivando l’amore per questa terra.

Per concludere vorrei tornare al povero Tages che, molto spaventato dalla sua stessa profezia, ha scelto di scomparire, forse per non dover fare altre previsioni catastrofiche sul futuro, lo vedo mentre osserva e interroga gli uccelli, un tempo numerosi e oggi ridotti a poche specie, il cui volo, da sempre, è simbolo di speranza.

Mi piace immaginarlo ancora a giocare, eterno fanciullo, tra le zolle di questa terra grassa.

Paolo Barcucci

Maggio 2021

© 2021 by Paolo Barcucci
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